Comprate il libro di Valeria Parrella, Spazio bianco, e se non avete i soldi per comprarlo prendetelo in biblioteca, e se in biblioteca non ce l’hanno, allora rubatelo alla Feltrinelli (e che Giangiacomo dal traliccio mi perdoni).
Una madre di quarantadue anni ha una figlia prematura, Irene, che non vive e non muore, è un feto dislocato in un’incubatrice, uno spazio bianco che è anche il tempo sospeso che della madre nell’attesa di sapere se la bimba vivrà, è il silenzio delle risposte mancate dei medici, che segna il limite del loro sapere.
L’avevo comprato appena uscito ma ero scettico perché pensavo che non mi sarei mai immedesimato; leggo ancora con lo stesso principio di quando avevo cinque anni: una cosa o parla di me – anche di un me possibile s’intende – oppure non supero le prime trenta pagine. E invece no, la scrittura pastosa della Parrella dà forma a una donna che nelle pieghe della sofferenza descrive la vita, la mia come quella di molti altri.
Il comune buon senso, che pure aveva un senso, era il respiro della provincia e l’anima della famiglia, e per me che opponevo resistenza con tutte le mie forze alle cose date, era il nemico palese e subdolo che attentava alla mia felicità. Mi sembrava che gli altri si lasciassero scorrere, mentre io ero come uno scoglio che dava intralcio alla corrente e da essa con odio si lasciava corrodere. Sono stata questa inutile fatica, e questa fatica non si è mai sciolta.
Io possedevo da sempre un’arroganza di fondo. Quell’arroganza mi era venuta dalla fabbrica. […] La fabbrica non inghiottiva solo chi ci lavorava, ma anche chi campava di essa, chi aspettava la fine dei turni e le sirene per costruirci attorno la giornata, una giornata dopo l’altra. Crescere figlia di operaio negli anni Settanta, e poi proprio per questo studiare, intestardirsi sui libri, diventare la generazione dello scarto intellettuale, erano cose che davano una certa arroganza. Perché a vedermi da fuori io lo sentivo, di essere la prima persona della famiglia che non avrebbe avuto le braccia corrose dal succo di pomodoro.
Però, perché questo fosse possibile, qualcun altro era rimasto a fare gli straordinari per cinquecento lire all’ora.
giovedì 21 febbraio 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
7 commenti:
E questo è un colpo di fulmine...
Già, i colpi di fulmine...comprerò il libro, perchè poi, in definitiva, la sofferenza di un singolo essere umano è la sofferenza del mondo intero.
Grazie mente tropicale!
eheheh...da tre settimane quella copertina letteralmente mi OCCHIEGGIA dagli scaffali della Feltrinelli di Pza Piemonte (meta irrinunciabile delle mie tediose pause-pranzo)... lo prendo, lo faccio rigirare tra le mani, leggo e rileggo la quarta (oramai la so a memoria), ma poi viene fuori la taccagna che è in me e mi dico "dai aspetta, ne hai a casa quasi una decina ancora da leggere..." allora aspetterò lo "stipendio" di febbraio e sicuramente sarà il mio prossimo acquisto, anche perchè a un Supercorallo non si può proprio resistere...
io l'ho letto !! è bvellissimo. anche le due raccolte precedenti che ha scritto sono bellissime, compratele! mosca più balena e PGR di minimum fax.
Già avevo seguito il tuo consiglio e avevo letto mosca + balena. Mi era piaciuto un sacco.Spazio bianco l'ho comprato ieri, anch'io dopo lungo corteggiamento, come Bea. Ti saprò dire.
All'Einaudi dovrebbero assumermi come PR, visto che alla Mondamonda a meno di una settimana dalla fine ancora non so niente.
Mentetropicale, fai vendere più libri di Fazio.
Posta un commento